Riccardo Venturi
2006-12-07 15:25:20 UTC
Oggi sul Manifesto. Ma non sto affatto per parlare di riconteggi di schede
bianche o nulle delle elezioni di lorsignori, o di lorsignoresca
"democrazia". E neanche di deagli o decipolle; avesse voluto, il de-garlic,
fare un dvd veramente ben intitolato, non avrebbe dovuto intitolarlo
"uccidete la democrazia", ma "la democrazia vi uccide". Piuttosto, sul
"Manifesto" di oggi si è verificata una di quelle coincidenze che mi
piacciono tanto, due piccoli articoli che parlano di cose che si dicono
inattuali, e delle quali vorrei parlare perché è un bel po' che non dico
nulla, e quindi mi posso anche permettere di di' du' bischerate qualsiasi.
Il primo di questi due articoletti parla di don Gallo. Sarebbero trentasei
anni che il famoso "prete anarchico" genovese sta sulla strada; uno che
afferma quanto segue, "diciamo che siamo l'esatto contrario di chi pretende
di insegnare la legalità, la correttezza dei comportamenti ricorrendo a
moralismi e persecuzioni dei diversi; siamo un passaggio continuo
dall'isolamento alla lotta". Nonni e genitori, sembra, lo rimbrottavano di
continuo, quand'era piccolo, con una minaccia terrificante: "ora ti porto da
Garaventa!"; ed è qui che si innesta la mia prima coincidenza. Chi non è
genovese, o non conosce Genova mediamente bene, saprà difficilmente cos'è la
Garaventa. Era una nave ancorata nel porto. Tale cavalier Garaventa, alla
fine dell'ottocento, la aveva donata come "benefattore" alla città di Genova
per farne una "nave scuola"; in realtà era un riformatorio per minori, bello
e buono. Una galera galleggiante dove i ragazzi dovevano essere,
naturalmente, "rieducati con il lavoro". In cosa consistesse tale
rieducazione è abbastanza facile immaginarlo; la Garaventa restava lì
ancorata col suo carico di dolore e di paura; ciononostante, neppure per un
momento cessò di essere considerata come una "benefica istituzione",
talmente benefica da servire come babau per i ragazzi un po' vivaci. Sulla
Garaventa esiste una canzone, una bella e dolente canzone scritta da un
personaggio che di giorno, con la moglie Lucia Mannucci e coi compagni
Felice Chiusano e Tata Giacobetti (ai quali voglio levare un calice di vino
immaginario, in ufficio), faceva il Quartetto Cetra; di notte, invece,
scriveva canzoni come questa, o come "Nella testa di Nicola" (dedicata a
Saverio Saltarelli!). E' ancora vivo questo signore, ha quasi 87 anni e si
chiama Anton Virgilio Savona.
Nel porto di Genova, è ormeggiata da tempo immemorabile una vecchia nave da
guerra adibita a istituto di rieducazione per minorenni. Il suo nome è: La
Garaventa.
La Garaventa è ferma nel porto,
ferma da anni, immobile nel tempo,
fissata alla terra da forti gomene
e al fango del fondo da forti catene.
La Garaventa non salpa mai,
La Garaventa non salpa mai.
Vola un gabbiano giocando col vento,
nuvole bianche si inseguono nel cielo.
Passano giorni, e mesi e stagioni,
è piena la stiva di maledizioni.
La Garaventa non salpa mai,
La Garaventa non salpa mai.
L'elica è ferma, un trifoglio appassito
stretto da cento ghirlande di conchiglie,
il ponte è lavato da gocce di pianto,
il buio è spezzato da un solo lamento.
La Garaventa non salpa mai,
La Garaventa non salpa mai.
[Recitato]
Guarda: nel buio del boccaporto
mille speranze rimangono sepolte.
Aspettano un nastro di luce dal ponte,
e intanto marciscono miseramente.
La Garaventa non salpa mai,
La Garaventa non salpa mai.
[Cantato]
La Garaventa è ferma nel porto,
ferma da anni, immobile nel tempo,
fissata alla terra da forti gomene
e al fango del fondo da forti catene.
La Garaventa non salpa mai,
La Garaventa non salpa mai.
La Garaventa non salpò mai dal 1883 al 1977. Quasi cento anni di
"rieducazione". Me n'ero occupato mesi fa nelle "CCG" per una specie di
"extra",
http://www.prato.linux.it/~lmasetti/canzonicontrolaguerra/canzone.php?id=3972&lang=it.
Fine della prima coincidenza.
*
La seconda coincidenza, o meglio il secondo articolo, ha a che fare con una
cosa del tutto mia personale; ma tanto siamo qui a chiacchierare. Si chiama
"Demiurghi stralunati alla ricerca di una grammatica impossibile" e lo ha
scritto tale Mariarosa Bricchi. Vi si parla di lingue inventate. Chi scrive
è, sin da bambino, un inventore di lingue. Per purissimo piacere personale,
per strabordamenti fabulatori, per glossolalia, per chissà cosa. Avevo
quattro o cinque anni e mi divertivo a inventare parole (cosa che tutti i
bambini fanno, senza nessuna eccezione), ricordandomene persino di qualcuna
(kennà ghesdèn, che voleva dire "gioco con una pallina di gomma"). Più tardi
mi sono accorto che le parole si potevano strutturare, con una morfologia e
una sintassi. Così nacque quello che ora si chiama "kelartico", lingua della
quale sono l'unico e legittimo titolare se si esclude un ragazzo di Mola di
Bari che conosce di persona Enzo del Re (lavorare con lentezza, e grazie al
cielo oggi lo sto facendo), Nicola Ruggiero, il quale, essendo studente di
interlinguistica a Cracovia ha pensato bene di trasformare il "kelartico" in
una tesina per un esame, redatta rigorosamente in esperanto. Mai avrei
pensato in vita mia di finire studiato a Cracovia; ma tant'è. Insomma,
nell'articolo della Mariarosa si parla di queste cose. Vi è nominato quello
che è uno dei libri della mia vita, "Le lingue inventate", scritto nel 1970
in tedesco da uno dei maggiori orientalisti europei, Alessandro Bausani, e
poi da lui stesso tradotto in italiano e pubblicato nel 1974 presso la casa
editrice Ubaldini-Astrolabio. Libro che l'articolista definisce introvabile;
ma io ce l'ho. Da una vita. E mi ha seguito ovunque. Lo conosco
letteralmente a memoria, compresa la storia della prima lingua che il
Bausani inventò da bambino, il "markuska". Compreso l'intelligentissimo
pazzo del manicomio che si inventava la sua mitologia personale basata sulla
"conquitescenza mirtica dell'alveatico". Compresa la trattazione su lingue
come il balaibalan ("lingua del vivificatore") di una setta sufica, sul
linguaggio segreto "Sigi" dei Dogon, sul solresol di Jean-François Sudre.
Anni fa, quando mi divertivo a scrivere sui ng di linguistica, ci feci tutta
una trattazione che, chissà come, capitò in mano al responsabile di una
trasmissione di Radio Rai 1, "Il baco del millennio"; fui intervistato per
telefono recitando persino il "padre nostro" in Volapük. Mi chiesero anche
del kelartico. La mattina in cui la trasmissione andò in onda non potei però
ascoltarla; la sera prima due tizi che mi volevano rubare il portafoglio e
un'Alfa 33 scassata (la stessa che è morta a Ravenna, come sa bene l'Ada) mi
avevano cardato fitto fitto e all'ora della trasmissione stavo al pronto
soccorso di Santa Maria Nuova.
Due articoli e due coincidenza, insomma, sul "Manifesto" di oggi 7 dicembre
2006. Così va la vita; sono stato contento che ci fossero.
Salut,
--
Riccardo Venturi
Er muoz gelîchesame die leiter abewerfen so er an îr ûfgestigen ist
(Vogelweide & Wittgenstein)
I-50135 Firenze, Via F.Tozzi 3, 055-613968, 339-4723095
http://www.antiwarsongs.org
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bianche o nulle delle elezioni di lorsignori, o di lorsignoresca
"democrazia". E neanche di deagli o decipolle; avesse voluto, il de-garlic,
fare un dvd veramente ben intitolato, non avrebbe dovuto intitolarlo
"uccidete la democrazia", ma "la democrazia vi uccide". Piuttosto, sul
"Manifesto" di oggi si è verificata una di quelle coincidenze che mi
piacciono tanto, due piccoli articoli che parlano di cose che si dicono
inattuali, e delle quali vorrei parlare perché è un bel po' che non dico
nulla, e quindi mi posso anche permettere di di' du' bischerate qualsiasi.
Il primo di questi due articoletti parla di don Gallo. Sarebbero trentasei
anni che il famoso "prete anarchico" genovese sta sulla strada; uno che
afferma quanto segue, "diciamo che siamo l'esatto contrario di chi pretende
di insegnare la legalità, la correttezza dei comportamenti ricorrendo a
moralismi e persecuzioni dei diversi; siamo un passaggio continuo
dall'isolamento alla lotta". Nonni e genitori, sembra, lo rimbrottavano di
continuo, quand'era piccolo, con una minaccia terrificante: "ora ti porto da
Garaventa!"; ed è qui che si innesta la mia prima coincidenza. Chi non è
genovese, o non conosce Genova mediamente bene, saprà difficilmente cos'è la
Garaventa. Era una nave ancorata nel porto. Tale cavalier Garaventa, alla
fine dell'ottocento, la aveva donata come "benefattore" alla città di Genova
per farne una "nave scuola"; in realtà era un riformatorio per minori, bello
e buono. Una galera galleggiante dove i ragazzi dovevano essere,
naturalmente, "rieducati con il lavoro". In cosa consistesse tale
rieducazione è abbastanza facile immaginarlo; la Garaventa restava lì
ancorata col suo carico di dolore e di paura; ciononostante, neppure per un
momento cessò di essere considerata come una "benefica istituzione",
talmente benefica da servire come babau per i ragazzi un po' vivaci. Sulla
Garaventa esiste una canzone, una bella e dolente canzone scritta da un
personaggio che di giorno, con la moglie Lucia Mannucci e coi compagni
Felice Chiusano e Tata Giacobetti (ai quali voglio levare un calice di vino
immaginario, in ufficio), faceva il Quartetto Cetra; di notte, invece,
scriveva canzoni come questa, o come "Nella testa di Nicola" (dedicata a
Saverio Saltarelli!). E' ancora vivo questo signore, ha quasi 87 anni e si
chiama Anton Virgilio Savona.
Nel porto di Genova, è ormeggiata da tempo immemorabile una vecchia nave da
guerra adibita a istituto di rieducazione per minorenni. Il suo nome è: La
Garaventa.
La Garaventa è ferma nel porto,
ferma da anni, immobile nel tempo,
fissata alla terra da forti gomene
e al fango del fondo da forti catene.
La Garaventa non salpa mai,
La Garaventa non salpa mai.
Vola un gabbiano giocando col vento,
nuvole bianche si inseguono nel cielo.
Passano giorni, e mesi e stagioni,
è piena la stiva di maledizioni.
La Garaventa non salpa mai,
La Garaventa non salpa mai.
L'elica è ferma, un trifoglio appassito
stretto da cento ghirlande di conchiglie,
il ponte è lavato da gocce di pianto,
il buio è spezzato da un solo lamento.
La Garaventa non salpa mai,
La Garaventa non salpa mai.
[Recitato]
Guarda: nel buio del boccaporto
mille speranze rimangono sepolte.
Aspettano un nastro di luce dal ponte,
e intanto marciscono miseramente.
La Garaventa non salpa mai,
La Garaventa non salpa mai.
[Cantato]
La Garaventa è ferma nel porto,
ferma da anni, immobile nel tempo,
fissata alla terra da forti gomene
e al fango del fondo da forti catene.
La Garaventa non salpa mai,
La Garaventa non salpa mai.
La Garaventa non salpò mai dal 1883 al 1977. Quasi cento anni di
"rieducazione". Me n'ero occupato mesi fa nelle "CCG" per una specie di
"extra",
http://www.prato.linux.it/~lmasetti/canzonicontrolaguerra/canzone.php?id=3972&lang=it.
Fine della prima coincidenza.
*
La seconda coincidenza, o meglio il secondo articolo, ha a che fare con una
cosa del tutto mia personale; ma tanto siamo qui a chiacchierare. Si chiama
"Demiurghi stralunati alla ricerca di una grammatica impossibile" e lo ha
scritto tale Mariarosa Bricchi. Vi si parla di lingue inventate. Chi scrive
è, sin da bambino, un inventore di lingue. Per purissimo piacere personale,
per strabordamenti fabulatori, per glossolalia, per chissà cosa. Avevo
quattro o cinque anni e mi divertivo a inventare parole (cosa che tutti i
bambini fanno, senza nessuna eccezione), ricordandomene persino di qualcuna
(kennà ghesdèn, che voleva dire "gioco con una pallina di gomma"). Più tardi
mi sono accorto che le parole si potevano strutturare, con una morfologia e
una sintassi. Così nacque quello che ora si chiama "kelartico", lingua della
quale sono l'unico e legittimo titolare se si esclude un ragazzo di Mola di
Bari che conosce di persona Enzo del Re (lavorare con lentezza, e grazie al
cielo oggi lo sto facendo), Nicola Ruggiero, il quale, essendo studente di
interlinguistica a Cracovia ha pensato bene di trasformare il "kelartico" in
una tesina per un esame, redatta rigorosamente in esperanto. Mai avrei
pensato in vita mia di finire studiato a Cracovia; ma tant'è. Insomma,
nell'articolo della Mariarosa si parla di queste cose. Vi è nominato quello
che è uno dei libri della mia vita, "Le lingue inventate", scritto nel 1970
in tedesco da uno dei maggiori orientalisti europei, Alessandro Bausani, e
poi da lui stesso tradotto in italiano e pubblicato nel 1974 presso la casa
editrice Ubaldini-Astrolabio. Libro che l'articolista definisce introvabile;
ma io ce l'ho. Da una vita. E mi ha seguito ovunque. Lo conosco
letteralmente a memoria, compresa la storia della prima lingua che il
Bausani inventò da bambino, il "markuska". Compreso l'intelligentissimo
pazzo del manicomio che si inventava la sua mitologia personale basata sulla
"conquitescenza mirtica dell'alveatico". Compresa la trattazione su lingue
come il balaibalan ("lingua del vivificatore") di una setta sufica, sul
linguaggio segreto "Sigi" dei Dogon, sul solresol di Jean-François Sudre.
Anni fa, quando mi divertivo a scrivere sui ng di linguistica, ci feci tutta
una trattazione che, chissà come, capitò in mano al responsabile di una
trasmissione di Radio Rai 1, "Il baco del millennio"; fui intervistato per
telefono recitando persino il "padre nostro" in Volapük. Mi chiesero anche
del kelartico. La mattina in cui la trasmissione andò in onda non potei però
ascoltarla; la sera prima due tizi che mi volevano rubare il portafoglio e
un'Alfa 33 scassata (la stessa che è morta a Ravenna, come sa bene l'Ada) mi
avevano cardato fitto fitto e all'ora della trasmissione stavo al pronto
soccorso di Santa Maria Nuova.
Due articoli e due coincidenza, insomma, sul "Manifesto" di oggi 7 dicembre
2006. Così va la vita; sono stato contento che ci fossero.
Salut,
--
Riccardo Venturi
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