Post by Alomus...chi veste una risata???? Ma cosa vuol dire questa frase??? Io non
son mai riuscito a capirla...
Grazie
Bella domanda, anche perché permette di parlare un po' del Guccini "at his
best" (o, almeno, di quello che il sottoscritto considera tale).
Innanzitutto, la frase ed il suo significato, diciamo, letterale. Significa,
semplicemente, che in mezzo ad una massa di gente inquadrata (che può
estendersi da un gruppo fino ad un intero popolo, nella storia non mancano
fulgidi esempi del genere), cioè quelli "vestiti da parata" e che marciano
tutti allo stesso passo -non importa neppure se sia o meno dell'oca, o
romano, o uno qualsiasi degli altri passi escogitati dai coreografi di tutti
i regimi- chi "veste una risata", vale a dire chi non si uniforma e
sottolinea magari questo suo atteggiamento con il supremo scherno del
ridere, non ha scampo. Viene immediatamente individuato, messo da parte,
isolato; e, da qui, il passo che lo separa dalla galera è molto breve ("noi
siamo gente che finisce male, galera od ospedale"; aggiungiamo pure che
manca un terzo elemento fondamentale, il cimitero).
La canzone da cui proviene questo verso è, probabilmente, tra tutte quelle
di Guccini quella che ha fornito il maggior numero di "citazioni celebri";
non sto neanche a parlare dello "scusate non mi lego a questa schiera, morrò
pecora nera", ad esempio. È questo, infatti, il senso dell'intera canzone,
che non a torto è considerata (almeno da me) uno dei capolavori assoluti del
modeno-pavanese. E' una canzone autenticamente libertaria, una di quelle che
-per fortuna- nel corso della sua vita sfuggono addirittura di mano al suo
autore (l'altro esempio lampante è "La locomotiva") e vanno per proprie
strade lontane da ogni cosa e, più che altro, dalle eventuali "evoluzioni"
(o involuzioni) di chi l'ha scritta. Non escludo che molti che conoscono
benissimo quel paio di versi ignorino addirittura chi ne sia l'autore.
Una canzone che, però, al contempo di iscrive in un dato momento storico e
politico. So che quest'ultimo termine potrà far storcere il naso a molti a
cominciare da Guccini stesso; ma una canzone politica è tale e lo resta.
Guardiamo l'anno in cui è stata scritta, verso il 1976; siamo alla vigilia
del '77, in cui una "rossa Bologna" vestita da parata arriverà, per mano del
suo sindaco "democratico e antifascista" Renato Zangheri, a richiedere
l'intervento dei carabinieri e dei celerini contro il Convegno sulla
repressione -una bella massa di gente, comunque la si veda, cui piaceva
sovente vestire delle risate. Che cosa ne sia stato poi di quella gente, non
importa dirlo. Una parte ha continuato a ridere senza scampo, sopravvivendo
come ha potuto; una parte ha imbracciato le armi; un'altra parte ha avuto
percorsi, come dire, simpaticamente tortuosi. Se qualcuno vuole, se ne
parlerà perché è, questo, un discorso che abbisogna di interlocutori che
abbiano almeno un minimo di conoscenza diretta delle cose.
Ma tornando alla canzone, trovo singolare che sia a contatto di gomito,
nello stesso album, con l'"Avvelenata", lo sfogo (un tempo analizzato in
maniera davvero mirabile da Michele L. Straniero, se non erro proprio nella
prefazione del vecchio e storico Guccini della Lato Side -ma potrei
sbagliarmi; una di quelle cose di cui serbo memoria senza ricordarmi
precisamente dove mai e quando mai la abbia letta) dove Guccini fa un'altra
delle sue affermazioni quasi passate in proverbio, "Però non ho mai detto
che a canzoni si fan rivoluzioni ecc.". Lo trovo singolare perché "Canzone
di notte n°2" è una canzone, ebbene sì, rivoluzionaria. Nel senso classico
del termine e con tutti gli ingredienti: libertari, anarchici bastonati,
galera ed ospedale, chi è inquadrato in parata e chi sta fuori ridendo, la
pecora nera (Guccini avrà letto Stirner? De Andrè di sicuro, lui non so) e
così via. Il tutto, però, "condito" con due cose tipicamente guccinesche,
l'una di colore locale (la notte e il vino) e l'altra più sottile,
intimista, la riflessione introversa ("o forse non è qui il problema" ecc.).
Ma questo mio trovar singolare certi accostamenti di canzoni è forse ozioso;
a Guccini andrà sempre riconosciuto di essere stato un cantore fedele delle
proprie confusioni inserite nelle confusioni epocali, e qui se ne ha un
esempio perfetto.
Non si sono ancora spenti gli echi di certi slogan, o presunti tali, come
quell' "Ah ah ah, sarà una risata che vi seppellirà"; e la forza
rivoluzionaria della "Canzone di notte n° 2" sta molto in quel proporre,
certamente non nuovo ma comunque sempre efficace, il riso e la risata nella
loro valenza sovversiva. Quale sia usualmente il destino del sovversivo, non
sto neppure a dirlo; ben che gli vada, si ritrova ai margini di qualcosa,
sempre ai soliti margini, impegnato nell'estenuante arte del non arrendersi
mai. Attorno a lui le parate imperversano, e non occorre che siano militari.
Ma tu prova ad immaginare un tizio che, nel bel mezzo della parata del 2
giugno prossima ventura (ripristinata da carlazzeglio il presidente) si
metta a sghignazzare come un matto, tipo con la risata dello
"Scacciapensieri" della TV svizzera al sabato sera.
Prova a immaginare questa scena e avrai il significato esatto della "frase"
su cui hai chiesto lumi; anzi, tanto che ci sei, prova ad ampliare la cosa.
Risate a crepapelle in mezzo al parlamento. Risate sardoniche in mezzo ai
lutti e ai cordogli per gli eroici "sordatipellapace" di Nassiriya. Risate
omeriche in un girotondino pellagiustizziaggiusta. Risate in mezzo a Piazza
san Pietro mentre il papocchio "che soffre" (la sofferenza come mestiere)
crea 380 nuovi santi e beati tra la folla in estasi -che poi lo sia perché
vien fatto santo il fondatore dell'Opus Dei è una quisquilia, of course.
Risate stentoree in faccia a tutti gli integralisti di qualsiasi chiesa,
religione, credo, partito, setta, quel che ti pare. Prova a immaginarti di
moltiplicare questa cosa all'infinito, chiudi gli occhi e sorridi. Anzi,
ridi. Di gusto. Esci fuori e fallo. Anche in mezzo al passeggio del
pomeriggio, anche nel centro commerciale del cazzo dove ti vendono persino
il tuo tempo ("le temps s'achète au supermarché", scriveva Raoul Vaneigem il
situazionista facendosi cantare tutto ciò da Gilles Servat in una canzone
nata sotterranea). Prova, perché in questi rii tempi le parate e le divise
imperversano. A volte se ne ha sentore persino ai concerti di Guccini.
Del resto, come dicevo, la cosa non è nuova. Un esempio a caso. Tutto un
famosissimo romanzo, il "Nome della rosa" di Umberto Eco, è costruito
attorno alla potenza distruttiva del riso che promana da un presupposto
capitolo perduto di Aristotele. Aristotele, il Filosofo. La legittimazione
del riso come entità sovversiva effettuata da colui che era il cardine
dell'intera visione del mondo medievale. C'è l'integralista, Jorge da
Burgos, che arriva ai crimini più diabolici e orrendi per occultarlo, per
far sì che tutto un mondo non crolli dalle fondamenta. E tutto, in fondo,
brucia.
Spero di essere stato un po' esauriente sulla cosa, esauriente e divagante
al punto giusto. Colgo l'occasione per sottolineare il piacere che ho avuto
nel vedere una domandina semplice semplice che può e deve aprire mondi ben
più vasti. Non ne vedevo da tempo. Speriamo che ce ne siano altre, da parte
tua o di chiunque. Tipo: " ma cosa vuol dire 'il tempo, il tempo chi ce lo
rende'? ", o roba del genere.
Salut,
*Riccardo Venturi* <venturik(*)ifrance.com>
*Er muoz gelîchesame die leiter abewerfen
So er an îr ûfgestigen ist (Vogelweide)*
*CH-1700 Fribourg/Freiburg (Confoederatio Helvetica)*
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