Discussione:
Non scampa tra chi veste da parata
(troppo vecchio per rispondere)
Paolo Talanca
2007-01-23 22:21:33 UTC
Permalink
Stasera mi è tornato in mente questa fondamentale discussione. Non so
come funzionino i cassetti della memoria, so solo che ho provato un
piacere assurdo nel ripassare a mente le parole di Riccardo quasi una
per una con la mente, per poi venire a leggerle.

Volevo riportare in cima la discussione rispondendo ma mi si dice che
non si può rispondere perché sono passati più di 60 giorni e bla e
bla e bla. Io però mi prodigo in una fragorosa risata e apro un post
nuovo nuovo di zecca, col link e tutto il post del Venturi.

ciao ciao

Paolo

*

http://groups.google.com/group/it.fan.musica.guccini/browse_frm/thread/d316821efac43415/7f844fd88aa7a47c?lnk=gst&q=non+scampa+tra+chi+veste+da+parata&rnum=1#7f844fd88aa7a47c

*
...chi veste una risata???? Ma cosa vuol dire questa frase??? Io non
son mai riuscito a capirla...
Grazie
Bella domanda, anche perché permette di parlare un po' del Guccini "at
his
best" (o, almeno, di quello che il sottoscritto considera tale).

Innanzitutto, la frase ed il suo significato, diciamo, letterale.
Significa,
semplicemente, che in mezzo ad una massa di gente inquadrata (che può
estendersi da un gruppo fino ad un intero popolo, nella storia non
mancano
fulgidi esempi del genere), cioè quelli "vestiti da parata" e che
marciano
tutti allo stesso passo -non importa neppure se sia o meno dell'oca, o
romano, o uno qualsiasi degli altri passi escogitati dai coreografi di
tutti
i regimi- chi "veste una risata", vale a dire chi non si uniforma e
sottolinea magari questo suo atteggiamento con il supremo scherno del
ridere, non ha scampo. Viene immediatamente individuato, messo da
parte,
isolato; e, da qui, il passo che lo separa dalla galera è molto breve
("noi
siamo gente che finisce male, galera od ospedale"; aggiungiamo pure che

manca un terzo elemento fondamentale, il cimitero).


La canzone da cui proviene questo verso è, probabilmente, tra tutte
quelle
di Guccini quella che ha fornito il maggior numero di "citazioni
celebri";
non sto neanche a parlare dello "scusate non mi lego a questa schiera,
morrò
pecora nera", ad esempio. È questo, infatti, il senso dell'intera
canzone,
che non a torto è considerata (almeno da me) uno dei capolavori
assoluti del
modeno-pavanese. E' una canzone autenticamente libertaria, una di
quelle che
-per fortuna- nel corso della sua vita sfuggono addirittura di mano al
suo
autore (l'altro esempio lampante è "La locomotiva") e vanno per
proprie
strade lontane da ogni cosa e, più che altro, dalle eventuali
"evoluzioni"
(o involuzioni) di chi l'ha scritta. Non escludo che molti che
conoscono
benissimo quel paio di versi ignorino addirittura chi ne sia l'autore.


Una canzone che, però, al contempo di iscrive in un dato momento
storico e
politico. So che quest'ultimo termine potrà far storcere il naso a
molti a
cominciare da Guccini stesso; ma una canzone politica è tale e lo
resta.
Guardiamo l'anno in cui è stata scritta, verso il 1976; siamo alla
vigilia
del '77, in cui una "rossa Bologna" vestita da parata arriverà, per
mano del
suo sindaco "democratico e antifascista" Renato Zangheri, a richiedere
l'intervento dei carabinieri e dei celerini contro il Convegno sulla
repressione -una bella massa di gente, comunque la si veda, cui piaceva

sovente vestire delle risate. Che cosa ne sia stato poi di quella
gente, non
importa dirlo. Una parte ha continuato a ridere senza scampo,
sopravvivendo
come ha potuto; una parte ha imbracciato le armi; un'altra parte ha
avuto
percorsi, come dire, simpaticamente tortuosi. Se qualcuno vuole, se ne
parlerà perché è, questo, un discorso che abbisogna di interlocutori
che
abbiano almeno un minimo di conoscenza diretta delle cose.


Ma tornando alla canzone, trovo singolare che sia a contatto di gomito,

nello stesso album, con l'"Avvelenata", lo sfogo (un tempo analizzato
in
maniera davvero mirabile da Michele L. Straniero, se non erro proprio
nella
prefazione del vecchio e storico Guccini della Lato Side -ma potrei
sbagliarmi; una di quelle cose di cui serbo memoria senza ricordarmi
precisamente dove mai e quando mai la abbia letta) dove Guccini fa
un'altra
delle sue affermazioni quasi passate in proverbio, "Però non ho mai
detto
che a canzoni si fan rivoluzioni ecc.". Lo trovo singolare perché
"Canzone
di notte n°2" è una canzone, ebbene sì, rivoluzionaria. Nel senso
classico
del termine e con tutti gli ingredienti: libertari, anarchici
bastonati,
galera ed ospedale, chi è inquadrato in parata e chi sta fuori
ridendo, la
pecora nera (Guccini avrà letto Stirner? De Andrè di sicuro, lui non
so) e
così via. Il tutto, però, "condito" con due cose tipicamente
guccinesche,
l'una di colore locale (la notte e il vino) e l'altra più sottile,
intimista, la riflessione introversa ("o forse non è qui il problema"
ecc.).
Ma questo mio trovar singolare certi accostamenti di canzoni è forse
ozioso;
a Guccini andrà sempre riconosciuto di essere stato un cantore fedele
delle
proprie confusioni inserite nelle confusioni epocali, e qui se ne ha un

esempio perfetto.


Non si sono ancora spenti gli echi di certi slogan, o presunti tali,
come
quell' "Ah ah ah, sarà una risata che vi seppellirà"; e la forza
rivoluzionaria della "Canzone di notte n° 2" sta molto in quel
proporre,
certamente non nuovo ma comunque sempre efficace, il riso e la risata
nella
loro valenza sovversiva. Quale sia usualmente il destino del
sovversivo, non
sto neppure a dirlo; ben che gli vada, si ritrova ai margini di
qualcosa,
sempre ai soliti margini, impegnato nell'estenuante arte del non
arrendersi
mai. Attorno a lui le parate imperversano, e non occorre che siano
militari.
Ma tu prova ad immaginare un tizio che, nel bel mezzo della parata del
2
giugno prossima ventura (ripristinata da carlazzeglio il presidente) si

metta a sghignazzare come un matto, tipo con la risata dello
"Scacciapensieri" della TV svizzera al sabato sera.
Prova a immaginare questa scena e avrai il significato esatto della
"frase"
su cui hai chiesto lumi; anzi, tanto che ci sei, prova ad ampliare la
cosa.
Risate a crepapelle in mezzo al parlamento. Risate sardoniche in mezzo
ai
lutti e ai cordogli per gli eroici "sordatipellapace" di Nassiriya.
Risate
omeriche in un girotondino pellagiustizziaggiusta. Risate in mezzo a
Piazza
san Pietro mentre il papocchio "che soffre" (la sofferenza come
mestiere)
crea 380 nuovi santi e beati tra la folla in estasi -che poi lo sia
perché
vien fatto santo il fondatore dell'Opus Dei è una quisquilia, of
course.
Risate stentoree in faccia a tutti gli integralisti di qualsiasi
chiesa,
religione, credo, partito, setta, quel che ti pare. Prova a immaginarti
di
moltiplicare questa cosa all'infinito, chiudi gli occhi e sorridi.
Anzi,
ridi. Di gusto. Esci fuori e fallo. Anche in mezzo al passeggio del
pomeriggio, anche nel centro commerciale del cazzo dove ti vendono
persino
il tuo tempo ("le temps s'achète au supermarché", scriveva Raoul
Vaneigem il
situazionista facendosi cantare tutto ciò da Gilles Servat in una
canzone
nata sotterranea). Prova, perché in questi rii tempi le parate e le
divise
imperversano. A volte se ne ha sentore persino ai concerti di Guccini.


Del resto, come dicevo, la cosa non è nuova. Un esempio a caso. Tutto
un
famosissimo romanzo, il "Nome della rosa" di Umberto Eco, è costruito
attorno alla potenza distruttiva del riso che promana da un presupposto

capitolo perduto di Aristotele. Aristotele, il Filosofo. La
legittimazione
del riso come entità sovversiva effettuata da colui che era il cardine

dell'intera visione del mondo medievale. C'è l'integralista, Jorge da
Burgos, che arriva ai crimini più diabolici e orrendi per occultarlo,
per
far sì che tutto un mondo non crolli dalle fondamenta. E tutto, in
fondo,
brucia.


Spero di essere stato un po' esauriente sulla cosa, esauriente e
divagante
al punto giusto. Colgo l'occasione per sottolineare il piacere che ho
avuto
nel vedere una domandina semplice semplice che può e deve aprire mondi
ben
più vasti. Non ne vedevo da tempo. Speriamo che ce ne siano altre, da
parte
tua o di chiunque. Tipo: " ma cosa vuol dire 'il tempo, il tempo chi ce
lo
rende'? ", o roba del genere.


Salut,


*Riccardo Venturi*
Franco Senia
2007-01-25 12:43:29 UTC
Permalink
Post by Paolo Talanca
Stasera mi è tornato in mente questa fondamentale discussione. Non so
come funzionino i cassetti della memoria, so solo che ho provato un
piacere assurdo nel ripassare a mente le parole di Riccardo quasi una
per una con la mente, per poi venire a leggerle.
(...)
Post by Paolo Talanca
Guardiamo l'anno in cui è stata scritta, verso il 1976; siamo alla
vigilia
del '77, in cui una "rossa Bologna" vestita da parata arriverà, per
mano del
suo sindaco "democratico e antifascista" Renato Zangheri, a richiedere
l'intervento dei carabinieri e dei celerini contro il Convegno sulla
repressione -una bella massa di gente, comunque la si veda, cui piaceva
(...)
Solo una piccola considerazione, che all'epoca mi sfuggì di fare e su
cui torno per amore della verità. C'è da dire che non è affatto vero
che il sindaco zangherì zangherà chiamasse carabinieri e celerini
contro "il convegno contro la repressione". I carabinieri armati di
tutto punto, financo coi carri armati, vennero chiamati prima. Nel
marzo 1977. Durante le giornate del convegno, alla fine di settembre
dello stesso anno, il governo e l'amministrazione comunale scelsero la
linea morbida del "lascia fare".

salud

--
-- Franco Senia --
http://francosenia.blogspot.com/
http://picasaweb.google.com/francosenia
_____________________________________________
" Ci fu una generazione che volle rispondere a tutto.
Allora gli chiesero e dovette rispondere di tutto."
- Erri De Luca, Aceto, Arcobaleno -
____________________________________________

Continua a leggere su narkive:
Loading...